Una questinoe etica

C’è una questione etica che mi tormenta da tempo ma che la pandemia ha aggravato notevolmente. La scuola superiore italiana, nella quale insegno, ha da tempo abdicato a ogni pretesa di selezione. Anche le prime dichiarazioni del governo Draghi sugli ITS lo confermano: invece di mettere mano a una valorizzazione degli ITIS (come diceva Prodi) si preferisce ripartire da zero con un percorso parallelo alle università (ed esplicitamente gradito a Confindustria), contribuendo allo «slittamento in avanti» del momento in cui giovani possono prendere posto nella società inserendosi nel processo produttivo. Tuttavia, anche se noi insegnanti delle superiori non scegliamo più «i migliori» (qualunque cosa voglia dire), resta il fatto che i nostri ragazzi, prima o poi, poi verranno scelti: «uno verrà preso, l’altro lasciato» (Lc 17, 34). Ci sarà qualcuno che dirà: tu si, vieni a lavorare; tu no, non mi interessi. Il mio disagio etico è questo: chi glielo dice, ai ragazzi? Noi? La famiglia? I fratelli/amici più grandi? Lo devono scoprire da soli? (to be continued, of course…)

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